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Il piano ‘GREAT Trust’ di Trump, Netanyahu e Blair: colonialismo e genocidio in blockchain

Mascherare con render futuristici un progetto di colonialismo e deportazione: sovranità espropriata, trasferimenti forzati camuffati da incentivi, terre trasformate in token blockchain e aiuti usati come controllo. Non ricostruzione, ma sostituzione: genocidio culturale ed espulsione, rivendute come “Riviera del Medio Oriente”

Il piano ‘GREAT Trust’ di Trump, Netanyahu e Blair: colonialismo e genocidio in blockchain
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1 Settembre 2025 - 10.49


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di Pino Cabras.

Donald Trump presenta il suo GREAT Trust come la “rinascita di Gaza”: rendering scintillanti, skyline dorati, porti ultramoderni, torri di vetro che riflettono il Mediterraneo. Ma dietro il fumo dell’AI e i video patinati si cela un impianto che gronda vecchio colonialismo, ingegneria demografica e deportazione mascherata da “volontarietà”. È il salto di qualità del Sionismo Reale: i lager si fanno glamour, Goebbels si lava i panni nella Silicon Valley. Lo chiamano Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation – “GREAT” – Trust). Orwell era un dilettante.

Sovranità espropriata

Il Trust altro non è che un mandato coloniale senza mandato ONU. Una “custodia multilaterale” che dura dieci anni, in cui contractor occidentali e agenzie internazionali ridisegnano sicurezza, finanza, urbanistica. Ma la chiave è una sola: Israele mantiene gli “overarching rights”, cioè i diritti sovraordinati. In pratica: l’ultima parola è sempre sua. Gaza viene trattata come proprietà sequestrata, non come comunità da autodeterminare. Abbiamo visto per decenni cosa succede con l’ultima parola lasciata a Israele.

Deportazione incentivata

La farsa della “rilocalizzazione volontaria” (l’aggettivo che rassicura Maurizio Molinari) è scritta nero su bianco: 5.000 dollari a persona, quattro anni di affitti pagati e token digitali in cambio della casa distrutta. Ma il prospetto finanziario del Trust ammette che l’operazione sarà più sostenibile se più gazawi scelgono di andarsene. E lo dice apertamente: l’obiettivo è “aumentare il numero di chi parte”. Non c’è volontarietà in un contesto di assedio, fame e bombardamenti: qui siamo dentro il cuore dell’art. 49 della IV Convenzione di Ginevra, che proibisce deportazioni e trasferimenti forzosi. Qualcuno pensa che non sarà usato il massimo di pressione violenta come vero incentivo?

La terra trasformata in token

Il Trust si finanzia sequestrando oltre il 30% delle terre pubbliche di Gaza, concedendole in leasing per 25–99 anni. Tutto digitalizzato, tokenizzato, messo in blockchain: un Land Trust che cancella la titolarità palestinese e la sostituisce con gettoni. Un popolo ridotto a beneficiario condizionale di un asset digitale. Gaza, che “oggi vale 0” secondo il prospetto, viene “risollevata” in prospettiva speculatrice a 324 miliardi. Tradotto: prima ti azzero la storia tutta in blocco, poi capitalizzo il tuo spossessamento. Per chi pensa che questi siano “cavoli loro dei gazawi e a noi che ce frega?”, invito a riflettere con tutti i brividi del caso sul fatto che questo è un esperimento ripetibile su una scala più grande, ovunque.

Aiuto come tecnica di controllo

Gli stessi siti umanitari (HTA/SDS) che dovrebbero salvare vite sono concepiti come campi recintati “senza Hamas”, sorvegliati da contractor occidentali e truppe locali in strettissimo rapporto. L’aiuto diventa appendice del dispositivo securitario. Non è assistenza: è il governo della fame. Anche ad Auschwitz veniva distribuito cibo dai carcerieri.

La “Riviera del Medio Oriente”: estetica della cancellazione

Il video AI di Trump cancella i palestinesi dal paesaggio: al loro posto, discoteche, yacht, smart city. È la narrazione coloniale perfetta: il popolo diventa rumore di fondo, le rovine diventano “valore zero”, il futuro si misura in ritorni economici per investitori globali. È genocidio culturale con filtro Instagram: si destoricizza, si ribattezza (“Riviera”), si de-territorializza, si cancella la memoria e la si sostituisce con un rendering. La gentrification delle città occidentali era solo un allenamento blandissimo per un progetto estremo e disumano.

L’economia della diaspora programmata

Il Trust promette 185 miliardi di ricavi in dieci anni, rendimenti annui sopra i 4,5 miliardi. Ma l’equilibrio finanziario migliora solo se meno persone restano a Gaza. Ogni gazawi che emigra fa risparmiare al piano 23.000 dollari. In altri termini: il modello di business è premiare lo svuotamento demografico. Sarà un’operazione condotta con senso della misura? Pensate al cinismo dell’immobiliarista in capo Trump, pensate alla spietatezza del boia Netanyahu, pensate al ghigno criminale di Tony Blair.

Il Sionismo Reale diventa Sionismo Real Estate.

Riassumiamo i contorni della Fase 2 della Catastrofe di Gaza. Il GREAT Trust non è un piano di ricostruzione. È un piano di sostituzione. La sovranità è sostituita da una custodia coloniale. I cittadini sono declassati al rango di beneficiari condizionati. La memoria è sostituita da rendering digitali. Le comunità sono sostituite da flussi turistici e catene logistiche.

La vera “Riviera” che Trump e i suoi alleati stanno costruendo non è un lido di libertà: è un paradiso artificiale edificato sulla deportazione e sull’estinzione culturale di un popolo. Tra l’altro, cosa che viene sommersa da troppi discorsi, la distruzione di Gaza ha un riflesso sull’intera prospettiva anche del resto del popolo palestinese in Cisgiordania, che verrebbe indebolito e preparato a essere da subito la prossima portata nel menù dei genocidi.

Se esiste una via d’uscita, non passa dai Trust e dai token, ma da cessate il fuoco, diritti, autodeterminazione e riparazioni. Tutto il resto è colonialismo estetizzato in alta definizione.

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